15.3.13

13 Marzo 2013

Entrando c'è ancora l'odore di pittura fresca e hai la sensazione di qualcosa di immacolato, pulito. Ancora tutto da scrivere. Strana sensazione per uno spazio, in termini strettamente linguistici. Pensiero del tutto differente da qualsiasi aggettivo che abitualmente si attribuisce a uno spazio, in termini di racconto e di storie. Eppure è stato così. Quei metri quadri di pavimento, cuori e luci si sono presentati così, ieri sera. Tra i riflessi dei bicchieri di cristallo colorato e qualche tutina di ciniglia lasciata sul fasciatoio. Erano nudi, sembravano sprovvisti di passato e ansiosi in attesa di nuovo futuro.
Alcuni dicono che l'ossessione degli architetti sia quella di creare qualcosa che sia "per sempre". Perché pensano di poter migliorare il mondo, perché credono che il frutto del loro lavoro, così tangibile matericamente, così pesante di pietra o caldo di legno, possa essere un segno che duri una vita o tante. Un'eternità. Che il tratto della matita, diventato muro o piano, sia immutabile nel tempo. Sia migliorativo di qualità, ricco di significato, portatore di idee.
Io credo che più di un'ossessione legata alla professione, sia il tendere naturale della vita di ognuno di noi, che per quanto amiamo distrarci dall'abitudine e dalla solidità, essendo "choosy" quanto più possiamo, tendiamo alla fine a ricercare stabilità del mondo che ci piace. Del nostro mondo.
Ieri sera ho cenato in questo spazio nuovo, che una famiglia chiama già Casa. Festeggiando con i visi di sempre, le donne che stimo, il nipote che già mi ha stregato e Sara che ha reso così il suo concetto di eterno. In tutte le manifestazioni possibili: architettura, famiglia e amicizia.







2 commenti:

  1. Mi piace il tuo blog perchè è molto personale, come questo post..davvero bello^^

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  2. Concordo con Sara... Bel post davvero!
    Fabiola

    wildflowergirl

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